TONYA

("I, Tonya" - 2017 - 121 minuti)

 

 

Per quelli della mia generazione Tonya Harding rimane un nome che non si dimentica, anche per chi non capisce niente di pattinaggio (come il sottoscritto). La sua incredibile vicenda giudiziaria ha avuto una tale risonanza mediatica che era quasi impossibile non incappare, nel 1994, in un telegiornale che non trattasse della vicenda.

A distanza di tanti anni, ancora oggi si rimane perplessi e disorientati di fronte a una serie di fatti che oscillano tra il bizzarro e l'assurdo, montati intorno ad una delle figure femminili più singolari dello sport moderno. Il film di Craig Gillespie si trovava davanti un ostacolo non da poco: rapporti secretati dell'FBI a parte, come raccontare una storia in cui ognuno dei protagonisti racconta la sua versione, discordante dalle altre?

Semplice (e geniale, a suo modo): raccontarla esattamente così!

Ecco che quindi l'intera realtà (che parte da una Tonya di 4 anni, per spiegare al meglio certi atteggiamenti che vedremo nel corso dell'opera) viene raccontata da punti di vista diversi, supportata da finte interviste ai protagonisti prese a loro volta da vere interviste ai personaggi reali. Un frullatore di visioni che si incontrano in una sequela di fatti documentati e non, in cui tutti tirano acqua al proprio mulino e si accusano vicendevolmente in un clima surreale e drammatico. "Tonya" infatti è una storia divertente e affascinante, ma al tempo stesso tragica, interpretata da attori in grande spolvero (su tutti il trittico Robbie-Stan-Janney) perfettamente calati nelle parti di umani fuori dai canoni, incapaci di rapportarsi con il mondo e con se stessi.

Un film che tenta, grazie anche ad un sapiente montaggio e ad un copione ben scritto, di raccontare dei fatti difficili da ricostruire, mostrandoli per quello che sono: un grosso pasticcio in cui non saprai mai bene a chi dare la colpa, perché la verità a volte è qualcosa di davvero complicato.

Sotto alla vicenda principale però, "Tonya" è anche un film che tratta in maniera più o meno sottile anche del pubblico, della folla, dei mass-media, degli spietati diti accusatori spessi mossi a comando da altri, che ti condannano e, senza conoscerti, ti rovinano per sempre. La Harding ne esce come una figura contraddittoria, ma nella piena coscienza del potere del pubblico: quella che ti acclama per i successi è lo stesso che ti infama nelle tue sconfitte.

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