"Heel or high water" ("Hell or high water") - 2016

 

Ci sono sceneggiature che sembrano non essere mai destinate a raggiungere il grande schermo. La "Black List" racchiude questi scritti e, nel 2012, ne entra a far parte "Comancheria", dalla penna di Taylor Sheridan (già autore dell'ottimo "Sicario", recuperatelo se non lo avete visto). E' da qui che nasce questa pellicola dal regista David Mackenzie, pluripremiata ai festival, portata al cinema in sordina  e distribuita successivamente attraverso Netflix, dove finalmente sta avendo la visibilità che merita.

"Heel or high water" (modo di dire intraducibile qui che suona come un "qualunque cosa accada") racconta la storia di due fratelli, un padre divorziato e un ex-detenuto (Pine e Foster), cresciuti nella povertà di un texas cattolico ed estremista, che compiono rapine in banca all'apparenza insensate. Sulle loro tracce però ci sono due ranger (Bridges e Birmingham), che cercheranno di scoprire qual'è il piano che si nasconde dietro a questi furti.

Le prime due cose che mi hanno colpito sono state puramente tecniche (roba da secchioni del cinema, ma concedetemelo ogni tanto): i movimenti di camera di Mackenzie sono favolosi, i suoi campi larghi con la gru rendono al meglio la vastità dei paesaggi in contrasto con i personaggi, spesso ripresi molto vicino all'obbiettivo (creando forse una metafora di spazi con il vero protagonista del film, ma su questo arriverò dopo), le sue riprese sulle auto in movimento sono armoniche e si nota nel complesso una padronanza del mezzo veramente molto matura; l'altra cosa è stata la splendida fotografia di Giles Nuttgens, capace di creare colori bellissimi e suggestivi controluce, senza contare l'uso dell'illuminazione da esterni che ha reso magica ogni atmosfera cittadina, specie nelle riprese notturne, il tutto al fine di creare quasi un western moderno.

Ok, la smetto di fare il tecnico e torno ad un'analisi meno accademica. Il film poggia su buonissime interpretazioni, in primis di Jeff Bridges, perfetto nei panni del vecchio ranger prossimo alla pensione e con un sorpresone Chris Pine (a me non ha mai fatto impazzire, lo ammetto) che ti piazza una recitazione solida e convincente, fatta soprattutto di sguardi e silenzi che riescono davvero a trasmettere le sensazioni di disperazione e rammarico che pervadono la mente del suo personaggio. 

Eppure, nonostante tutti i protagonisti siano perfettamente al loro posto come tessere di un puzzle perfetto, il vero protagonista del film è il Texas, che ritroviamo qui in tutti i suoi mille clichè, usati però non come ridondanti beni accessori ma come parte integrante di un mondo che continua costantemente ad essere legato ai propri stili di vita, ai proprio valori (giusti o sbagliati che siano, Mackenzie non fa discriminazioni in nessun senso) e a quella terra rubata agli indiani e oggi ri-rubata dalle banche e dalla crisi economica ("prima di rubava con la pistola alla tempia, ora con la penna sui contratti"), che rappresentano il mondo moderno, così lontano da tutto quello che il profondo sud rappresenta. Il senso di immersione della pellicola in queste lande è totale, si vive e si respira l'aria di quei posti, della sua gente, dei suoi problemi e penso che questo più di tutti sia il grande merito del film: riuscire a raccontare così bene un paese che non vuole cambiare (consideriamo poi che il regista è britannico!).

Due storie interessanti che si intrecciano rimanendo su binari paralleli, dei dialoghi molto ben scritti, attori in parte, ottima regia, splendide location, buon ritmo...c'è da chiedere altro? Correte a guardarlo!

P.S. Una nota di merito alla grandissima cameriera che "da 50 anni serve in questo ristorante", un personaggio che ti racconta un mondo in 2 minuti, vorrei uno spin-off solo su di lei! Se questa non è gran scrittura...

 

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