CHINATOWN

("Chinatown" - 1974 - 130 minuti)

 

 

 

Ricordato come l'ultimo film americano di Roman Polanski, "Chinatown" è un noir che regala principalmente due grandi interpretazioni di Jack Nicholson e Faye Danaway, che a loro volta fanno da supporto alla splendida sceneggiatura di Robert Towne e giustamente premiata con l'oscar.

In pieno stile hard-boiled, la storia segue le complesse indagini del detective privato Gittes, ex-poliziotto catapultato in una storia più grande di lui e in cui cercherà più volte, fallendo, di arrivare ad una verità che continua a cambiare alla luce di nuovi fatti inaspettati. Tutta questo intreccio è un grandissimo omaggio ai gialli degli anni '40/'50, con la loro pacata atmosfera, i loro dialoghi asciutti e un lento evolversi della vicenda.

Ogni elemento è curato in modo maniacale. Non si può rimanere indifferenti di fronte all'attento studio e alla ricercatezza delle inquadrature, pervase dal fascino e dal cinismo dei personaggi che la compongono.

Per tutti i 130 minuti della durata sono gli attori e le loro interpretazioni a farla da padroni. Il Gittes di Nicholson è un intelligente saggio di recitazione, divertente e avvincente; al suo fianco la Evelyne della Danaway è una perfetta dark lady, ambigua e sensuale. Sono loro due le ruote trainanti di "Chinatown", titolo che è una specie di richiamo ossessivo per tutto il film, ma che viene giustificato esplicitamente solo nella scena finale. Si tratta di un luogo mitico, al quale il protagonista non può sfuggire, ma dove anzi è costretto a ritornare più volte per essere soggiogato continuamente da forze più grandi di lui. La semplice indagine iniziale è presa come pretesto nella storia per raccontarci un viaggio tra corruzione del lavoro e dell'anima fra politici, amanti, padri e figli, in una girandola di sottotrame.

Il film non mostra alcun tono di autocompiacimento ma anzi, evita per quanto possibile i cliché visivi più banali, mantenendosi fedele ai suoi piani sequenza frastagliati e alla sua ricerca di simbolismi acquatici, non nuovi al regista.

La colonna sonora di Jerry Goldmith, realizzata in tempi record, sottolinea convincente ogni scena, dando cura ai tanti momenti di silenzio, sottolineati da melodie dolci con un velo di mistero. La freddezza con cui vengono trattati molti rapporti potrebbe non piacere a tutti, ma è perfettamente in linea con il mondo che ci viene descritto, un mondo privo di consolazione, duro, spietato, che gronda del pessimismo di Polanski di quel periodo.

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