"L'ultima parola - la vera storia di Dalton Trumbo"

("Trumbo") - 2015

 

Stati Uniti.

Pieno maccartismo.

Agli esordi della guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, crescono indiscriminate paure per l'influenza comunista nelle istituzioni americane.

Una politica al limite del dittatoriale accusa e condanna chiunque finisca nella lista nera.

Dalton Trumbo, geniale e famoso sceneggiatore di Hollywood, è costretto a nascondere il proprio nome e ad affidare la firma delle proprie vincenti sceneggiature ad uno pseudonimo o a un amico, ormai ingoiato in un meccanismo di "caccia alle streghe" da cui è quasi impossibile uscire.

Queste le premesse del biopic "L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo" diretto da Jay Roach (conosciuto più che altro per le sue commedie), sceneggiato dal televisivo John McNamara e basato sul romanzo “Dalton Trumbo” di Bruce Cook.

Il film è il ritratto convincente di una storia di vita difficile e al contempo affascinante fatta di sconfitte, vittorie e rivincite, incorniciata in un particolare spaccato di storia americana che ben si presta a racconti di spionaggio, ingiustizie e contraddizioni.

Le coraggiose azioni di Dalton Trumbo simboleggiano perfettamente la grande battaglia di un uomo solo contro il suo Paese: un uomo comune nella sua notorietà, vittima di sconfitte e fallimenti, padre e marito, il cui talento lo eleva inevitabilmente ad eroe, non uno di quegli eroi “all’americana” (qui impersonato dal vero John Wayne e detronizzato in un faccia a faccia con lo stesso Trumbo a inizio film) che ostentano un amore incondizionato per il loro Paese a qualsiasi costo, ma uno di quelli che affronta con dignità e fierezza le difficoltà procurategli da quello stesso stato che lo condanna (ma che poi inconsapevolmente lo onora per la sua maestria).

La pellicola non ha gravi problemi di forma, gli attori sono tutti in gamba (e ci regalano una convincente carrellata di celebrità dell'epoca, con una menzione d'onore al Frank King di John Goodman), la regia è gradevole ma senza particolari guizzi e la sceneggiatura presenta un ritmo molto ben orchestrato.

Purtroppo però i momenti intimi sono troppo impostati per essere credibili (ho notato una certa propensione per le frasi ad effetto, specie in ambito familiare) e le parti più interessanti, come i processi o il lavoro di sceneggiatore del protagonista, sono raccontati con poca enfasi, appiattendo un po' il racconto. E' come se il regista non avesse ben chiaro dove andare a parare. Anche l’aspetto più politico della vicenda è lasciato in secondo piano, i dialoghi sfiorano solamente la superficie della complessità del dibattito politico dell’epoca, del clima di terrore e di oppressione, senza fare mai percepire come consistente la persecuzione a cui il gruppo di scrittori è stato sottoposto.

L'intero film conta però una perla che sminuisce alcuni dei difetti che ho elencato e quella perla è la magistrale interpretazione del bravissimo Bryan Cranston. L'attore eleva il film ad uno standard superiore, grazie ad una gamma espressiva decisamente notevole. Aiutato anche dalla convincente Diane Lane, Cranston dipinge un personaggio a tutto tondo che sbaglia, ruggisce, contempla, ama e odia con la stessa intensità che mette nel suo lavoro. Attraverso gli occhi stanchi ma vivi di Trumbo si riflette il paradosso di una nazione simbolo di democrazia e di sogni, ma anche di ottuso conservatorismo e di insensato uso della paura.

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