DUNE - PARTE II

("Dune: part two" - 2024 - 165 minuti)

 

"Dune - parte II" è, forse ancora più della sua parte precedente, un vero e proprio blockbuster d'autore come ancora pochi, in questi anni, se ne vedono.

Inutile parlare della pellicola di Denis Villeneuve sotto il profilo tecnico in quanto rasenta la perfezione in ogni scelta stilistica, in ogni inquadratura, in ogni vezzo di fotografia o montaggio. Una troupe di professionisti navigati conferiscono al film un carattere unico e distinguibile, eccellendo su alcune parti (la scena dell'arena su Giedi Primo, pianeta natale degli Harkonnen, andrebbe studiata nelle scuole di cinema).

Inutile parlare della pellicola di Denis Villeneuve sotto il profilo degli attori, con un cast ricchissimo che offre una galleria di personaggi memorabili (e, ancora una volta, cito la scena dell'arena, con un Austin Butler davvero eccezionale nel trasportare su schermo il bellissimo Feyd-Rautha Harkonnen), relegando grandi interpreti anche alle parti più insignificanti, che non rimangono più tali proprio grazie alla performance degli attori chiamati in causa. L'unico mio rimpianto personale, che mi porto dietro dal primo film, è quella mancanza di fisicità che manca al protagonista, Timothée Chalamet, mascherata in ogni modo dal regista ma impietosa nelle scene di combattimento.
Inutile parlare della pellicola di Denis Villeneuve sotto il profilo sonoro, sia per quanto riguarda l'effettistica, curatissima, che per quello che concerne la colonna sonora del Maestro Hans Zimmer, uno che non ha bisogno di presentazioni, uno che prende la colonna sonora del primo film (già buona, ma non memorabile) e la migliora in ogni sua parte, dandole una connotazione molto più incisiva e riconoscibile.

Penso che sia invece molto utile parlare della visione di Villeneuve che esce fuori alla fine della visione, una visione chiara e non sempre condivisibile. "Dune - parte II" può sembrare un film sbilanciato (ma mai noioso) se seguiamo quella che potrebbe essere la narrazione classica del genere, portandoci a pensare che la parte finale sia troppo concisa e fredda. Tendo invece a comprendere la ragione di quella determinata scelta, dettata dall'interesse del regista verso la crescita e la formazione del giovane Paul Atreides. A Villeneive interessa narrare gli intrecci politici e sociali della guerra, gli antefatti storici e religiosi, l'ambientazione e la fauna legate a doppio filo, il misticismo dietro alle scelte, e soprattutto le ambiguità di una madre disposta a tutto per elevare suo figlio a salvatore, contrapposte all'amore di una donna che invece farebbe di tutto per salvarlo dal suo difficile destino. La battaglia finale, per il regista, è solo una conseguenza inevitabile di tutto questo, di tutto quello che rimane dopo aver sviscerato il vero cuore del film, un passaggio fisso che non può saltare ma su cui non vuole soffermarsi. Il cuore del film è quindi il cammino e non il traguardo. Una scelta che può piacere o non piacere, che si può accettare o meno, ma che non deve sminuire l'immenso lavoro creato per regalarci una maestosità visiva di questa portata.

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