"Legend" ("Legend") - 2015

 

Questo è uno di quei film che guardi anche solo per vedere cosa ha combinato Tom Hardy nel doppio ruolo dei gemelli Kray, gangstar realmente esistiti nella Londra degli anni '60. Personalmente ho un debole per Hardy e lo ritengo uno degli attori più talentuosi di questa generazione, fiducia che anche stavolta viene ben riposta: l'attore britannico regala un'altra prova superlativa. Il suo doppio ruolo è perfetto, curato fin nei minimi dettagli (anche grazie ai suoi soliti favolosi cambi di tono vocale) e nella differenze caratteriali e fisiche di Ronald e Reginald. La cosa interessante e stranissima allo stesso tempo è che se Reginald rappresenta più o meno la nostra visione di un Hardy-gangstar (con, fra l'altro, un bel dilemma interiore fra il suo volere condurre una vita normale e il suo istintivo piacere criminale), il fratello Ronald è invece una sua versione bizzarramente contorta che si, lo ricorda per evidente somiglianza fisica, ma al tempo stesso è così diverso da chiederci se veramente non sia un gemello strambo tenuto nascosto fino ad adesso (i suoi sguardi, la sua bocca, il suo tenere gli occhiali perennemente storti sono solo alcuni dei mille dettagli che vengono minuziosamente caratterizzati in ogni scena). Scherzi a parte, Tom Hardy sa fare il suo lavoro dannatamente bene e ci regala una delle migliori performance, se non la migliore, di questa stagione cinematografica (ovviamente snobbata dall'Academy, ma non ho voglia di mettermi a parlare di quello che per me ormai è solo un circo di burattini).

Peccato che la prestazione di Tom sia l'unica cosa notevole in un film che non offre molto altro. Purtroppo la pellicola di Brian Helgeland (che aveva già diretto l'interessante "Il destino di un cavaliere" e firmato ottime sceneggiature fra le quali "L.A. Confidential" e "Mystic River") si dilunga per più di 2 ore raccontando poco o nulla, con un ritmo molto blando salvato dalla noia solo grazie alle gesta dei gemelli Kray. Niente guizzi di regia, fotografia e scenografia senza infamia e senza lode e diversi caratteristi che lavorano col freno a mano tirato. Il fatto che poi la storia passi attraverso il voice-over della moglie di Reginald (interpretata da Emily Browning, la protagonista di "Sucker Punch"), vittima dall'inizio alla fine di una realtà che non perdona, con cui si empatizza poco o nulla, non aiuta lo svolgimento della trama, che vede un punto di vista poco interessante e che invece forse doveva concentrarsi maggiormente su quelle che erano le vicende interne alla banda. Poco infatti si capisce sulla parte veramente interessante della vicenda, specialmente perchè lascia totalmente ai margini le mosse di Scotland Yard, relegati a semplici comprimari sempre bisfrattati. Troppi nomi, personaggi che entrano ed escono troppo repentinamente per ricordartene, coinvolgimento della Mafia appena accennato (quando invece la sua entrata in scena lasciava presagire sviluppi interessanti), sottotrame tenute insieme solo da poche righe di dialogo. Non basta un disinvolto e azzaccato uso dello humor inglese anche nelle situazione più drammatiche contro una storia che non regala colpi di scena e prosegue inevitabile verso il tracollo fortemente telefonato. Peccato, perchè con una scenggiatura più solida e una regia più ispirata questa pellicola poteva sfruttare molto ma molto meglio una performance ispiratissima di un attore di grande grande talento.

"Le persone che vivono in una casa di vetro non dovrebbero tirare sassi".

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