"Split" ("Split") - 2017

 

Devo ammetterlo, ho sempre avuto un debole per Shyamalan, ma la nostra è stata una storia molto travagliata, degna delle migliori soap-opera.

Seguendo una banale metafora di coppia, posso dire di aver avuto un classico colpo di fulmine con "Il sesto senso", suo primo lavoro, pellicola che mi ha fatto invaghire di quel suo stile così personale. Poi, negli anni successivi, è scoppiato l'amore con "Unbreakable" (che tutt'oggi reputo uno dei miei 10 film preferiti e il migliore film di supereroi mai fatto), "Signs" e "The Village", una tripletta che mi fece pensare di essere al cospetto di un tipo che non sbaglia mai.

Ma, come in tutte le storie, arriva il momento in cui devi far fronte ai problemi, in cui si perde la retta via e le cose cambiano, spesso in peggio, come infatti è successo.

Shyamalan divenne hollywoodiano, perse se stesso, rinunciò al suo stile per entrare nella parte più commerciale del cinema, trovandosi in un mondo che, chiaramente, non era il suo, e non lo sarebbe mai stato. "Lady in the water", "E venne il giorno" e "L'ultimo dominatore dell'aria" sono i film che hanno rotto la magia, che hanno distrutto il mio rapporto con Shyamalan. E lui, di tutta risposta, non contento, ha diretto l'orribile "After Heart", che ha tolto anche quel minimo di rispetto che avevo per lui, trasformandolo in disprezzo nel vedere un regista così talentuoso perdere tempo a fare la puttanella della insopportabile famiglia Smith.

Neppure il recente "The visit", realizzato con così tanta buona volontà e cercando di tornare alla semplicità di un tempo, mi aveva convinto appieno, ancora ricolmo di risentimento verso quel tradimento così smaccato.

Non avevo nessuna intenzione di andare a vedere questo "Split", sia per gli strascichi della storia appena narrata, sia per il fatto che provo un'antipatia piuttosto marcata per McAvoy, attore che ho trovato sempre sopravvalutato.

Come accade però in alcune love-story, improvvisamente l'amore per Shyamalan è tornato prepotentemente fuori. Ho rivisto finalmente il regista di un tempo, dallo stile personale, dai tempi dilatati, dai budget contenuti, dalle inquadrature ricercate. Una persona che ha abbandonato i blockbuster dai grandi budget per riabbracciare uno stile più intimo, fatto di pochi attori, poche location e finalmente una sceneggiatura semplice ma decisa degna di essere raccontata su schermo.

"Split" si dimostra un film molto ben fatto, ottimamente calibrato nel primo e nel terzo atto, che pecca di una parte centrale forse un po' troppo lenta anche per gli standard del regista (forse a causa della parte psichiatrica, non così interessante come il resto della vicenda, complice la parte della dottoressa non particolarmente riuscita) ma che regala momenti emozionanti soprattutto grazie alla grande performance dell'attore protagonista e al clima ansioso che riesce a instaurare fin dal principio (peccato non aver osato di più nelle scene più forti, avrebbe forse reso il tutto ancora più incisivo).

L'odiato McAvoy, che mi piaccia o no, si dimostra bravissimo ad interpretare il molteplice Kevin (ispirato ad una persona realmente esistita, tale Billy Milligan, cercatelo su internet e rimarrete stupiti), senza cadere troppo nel facile macchiettismo e dosando la gestualità in maniera praticamente perfetta. Accanto a lui la giovane Anya Taylor-Joy che, nonostante la performance nella norma, riesce a bucare lo schermo attraverso la sua fisicità e quella faccia così particolare.

E' lei (e le sue due amiche) che vediamo rinchiuse in un luogo sconosciuto per quasi tutto il film, riprese spesso con inquadrature strettissime per accentuare la claustrofobia del posto, sottolineata da un comparto musicale appena accennato e da lunghi silenzi illuminati da giallognole luci al neon. Il regista stavolta non gioca con il plot-twist tipico dei suoi film più famosi, che arriva veloce e deciso verso la fine, ma piuttosto rende tutta la pellicola un enorme plot-twist, trasformando il classico thriller iniziale in qualcosa di completamente diverso mano a mano che la vicenda va avanti, fra interessanti aspetti dell'affascinante psiche di Kevin e dolorosi flashback dell'infanzia della disadattata Casey. Il tutto per arrivare ad un finale (che ovviamente non posso rivelare) che più personale non si può, in cui Shyamalan sembra dire "ora vado avanti per la mia strada, chi mi ama mi segua, gli altri tanto non capiranno" che mi ha fatto letteralmente impazzire, lasciandomi a bocca aperta e facendomi veramente credere di aver ritrovato quell'amore perduto che sembrava ormai perso.

 

"Chi ha sofferto è più evoluto, gioisci!"

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