"Iron-Man 3" ("Iron-man 3") - 2013

 

Iron-Man 3: perchè per me è SI.

Ci sono contrasti anche nelle famiglie più unite. Nell’universo cinematografico, i fan Marvel conoscono un contrasto che riesce sempre a dividere, sia in ambito di discussioni private che sui social network: IRON-MAN 3.

 

C’è chi lo considera il migliore della trilogia dedicata a Tony Stark, chi lo ritiene un grande passo falso della Fase 2. C’è chi ne ama le diversità e la freschezza, chi ne rigetta l’intero plot narrativo e stilistico. C’è chi lo ama e chi lo odia. Io lo amo, e voglio spiegarvi il perché.

Scusate se sarò prolisso ma ho molto da dire e molta voglia di farlo.

Devo ammettere che all’inizio, dopo una prima visione, storsi un po’ la bocca. Poi iniziai ad analizzare meglio il tutto e cominciai a capire il significato di molte scelte, fino a cambiare completamente idea, apprezzandone ogni aspetto.

 

Partiamo innanzitutto col dire che il film non ha avuto una gestazione facile. Jon Favreau doveva essere ancora alla regia dopo i primi due capitoli, ma alla fine, risucchiato nel vortice delle scadenze produttive, non se la sentì e restò solo come attore, nella solita parte di Happy Hogan. La sceneggiatura era praticamente pronta, scritta da Drew Pearce e si stava solo cercando un regista senza troppe pretese, sicuri che l’iconico personaggio sarebbe bastato per il successo assicurato, il tutto sotto lo sguardo attento di un Robert Downey Jr. fin troppo potente. Fu proprio quest’ ultimo a portare Shane Black nel progetto, essendo rimasti in contatto dopo aver recitato per lui in “Kiss kiss bang bang” nel 2005, periodo in cui la star hollywoodiana era in piena crisi e lontana dai fasti ricevuti dopo il primo Iron-man. Tutti nell’ambiente conoscevano Shane Black: attore, regista ma soprattutto sceneggiatore di grande talento (fra i lavori più importanti “Arma letale”, “Last Action Hero” e lo splendido “L’ultimo Boyscout”); insomma, uno che di storie e di action ne capisce parecchio. La sua entrata in scena non è indifferente. Prende in mano la sceneggiatura e riscrive molti dialoghi per renderli più vivaci e frizzanti, crea una storia che si distacchi in qualche modo dal classico canovaccio dei film di supereroi, pone le basi per un cambiamento importante nel personaggio principale e al tempo stesso tiene a freno l’incontenibile ego di Robert. Un lavoro notevole.

Intendiamoci, “Iron-man 3” rientra perfettamente nei canoni che la Marvel ha imposto ai suoi film, ma lo fa con uno stile tutto suo che, per quanto “costretto” non può far notare allo spettatore più attento la qualità intrinseca di ogni suo dettaglio. Non si sfugge ad una certa logica di azienda e fu messo subito in chiaro che non si sarebbe toccato un problema famoso per lo Stark cartaceo: l’alcolismo (argomento decisamente troppo forte per un pubblico familiare). Si ripiegò allora su altri due fattori resi abbastanza bene: le crisi di panico (che permette comunque alla sceneggiatura di indagare sui demoni interni di Stark) e la fallibilità del protagonista.

Il film ci propone un Tony a pezzi, che non dorme bene, che passa il suo tempo a costruire armature, in una continua “corsa agli armamenti” che sembra non avere mai fine, impaurito da un futuro non controllabile e profondamente più grande di lui. Il suo voler migliorarsi è una chiara conseguenza delle sue recenti esperienze, in una spirale autodistruttiva che lo porta ad isolarsi dagli affetti, preferendogli il mondo meccanico, così ubbidiente e rassicurante come la voce pacata del suo Jarvis. Dopo 2 film in cui faceva perfettamente bene quasi tutto, uscendosene sempre dalle situazioni più critiche con qualche genialata da grande pubblico, ecco che qui si nota invece la tendenza opposta, con svariati momenti in cui l’eroe finisce per fare una pessima figura, come se il meccanismo del “va tutto bene” si fosse inceppato.

Mi piace molto questo Tony geniale, ma che paga la sua genialità con altrettanti fallimenti, la sua figura ne esce più reale e mi aiuta a capirlo, portandolo ad un livello più umano.

Purtroppo uno dei difetti del film è la poca importanza data al componente tecnologico, che a volte funge troppo da deus ex machina per far quadrare i conti, senza approfondirne bene i vari effetti ma tutto in perfetta coerenza con quello che vuole mostrarci il regista. Black è molto interessato a Tony Stark e poco interessato ad Iron-Man, questo credo sia chiaro. Si, ci sono un numero spropositato di armature, ma rimangono sullo sfondo e sono usati come meri strumenti narrativi di passaggio, purtroppo a volte inverosimili (ancora una volta si ricorre agli opposti: dove l’uomo acquista fallimenti la macchina acquista sicurezze). La stessa mark 42 si vede poco ed è trattata sempre malissimo, presentandocela o a pezzi o vittima di qualche malfunzionamento, scelte assolutamente non casuali.

I segni di un voluto cambiamento ci sono in molteplici elementi, dal colore dell’ armatura principale alla situazione lavorativa dei vari membri, dalla scelta delle musiche al tono cromatico delle fotografia. Un ennesimo pregio del film è che cerca originalità e cambiamento pur riuscendo a rimanere fedele al canone Marvel.

Ci sono tante battute e sono scritte molto molto bene. Si ride, e si ride di gusto, senza “facepalm” alla Thor, anche grazie ad una narrazione rilassata e gestita ottimamente nei tempi. Dialoghi veloci e fulminanti, regia puntuale e accurata che non necessita mai di un montaggio frenetico per creare azione. Il film scorre che è un piacere e arrivati ai titoli di coda non si ha una sensazione di liberazione ma anzi, di appagamento. Che ti sia piaciuto o meno, ti lascia qualcosa. Ad ogni personaggio è dato il giusto peso, nessuna scena è superflua (il che è un grande pregio in film di questo genere) e forse solo l’epilogo finale è stato troppo tirato via (qualche spiegazione in più avrebbe giovato), ma al tempo stesso apriva scenari davvero interessanti per il nostro eroe (poi lasciamo perdere il fatto che è stato tutto mandato ai maiali da Whedon nel suo Age of Ultron…).

 

Le scene d’azione sono poche ma tutte molto ben dirette, l’azione è sempre chiara e si toccano delle punte di eccellenza coreografica nella distruzione della villa, nel salvataggio in volo dall’Air Force One e nella grande bagarre finale, tutti momenti piuttosto originali nella loro costruzione e messa in scena. Fra l’altro sono tutte scene molto importanti e non dei meri tappabuchi fra una situazione e l’altra, e in generale è sempre presente un attento equilibrio fra dramma e ironia.

Vogliamo parlare degli attori? Lasciando perdere i soliti noti, il sempre troppo sottovalutato Guy Pearce ci regala un’interpretazione efficace ed elegante, dipingendo un personaggio intelligente e ambiguo quanto basta, Rebecca Hall si scopre in grande alchimia con i protagonisti e anche lei riesce a tratteggiare una donna fatta di affascinante chiaroscuro. Questa è una cosa che mi è piaciuto molto nel film: nessuno dei nuovi personaggi presentati è completamente buono o completamente cattivo, hanno tutti delle bellissime sfumature di grigio.

Insomma ragazzi, Black riesce persino a creare la figura del bambino che non solo non è fastidioso, ma ha addirittura dei bellissimi scambi con Robert.

Passiamo ora a quello che è per tanti il tasto più dolente del film e che invece io ho apprezzato tantissimo: il Mandarino di Ben Kingslay. La sua “falsità” è uno dei componenti più spiazzanti e intelligenti di tutto il panorama Marvel ( e anche una velata frecciata ad un certo tipo di terrorismo mediatico). Si passa dal super terrorista  “Tu sai chi sono, tu non sai dove sono e non mi vedrai mai arrivare” all’attore un po’ scemo “non andate in bagno per i prossimi 20 minuti”, GENIALE; il tutto condito con un Kingslay che cambia completamente movenze e tono di voce lasciandoci come degli imbecilli davanti allo schermo.

Ecco il problema secondo me.

Tralasciando i fan estremisti che non riescono a concepire la minima differenza da un prodotto cartaceo che è solo di riferimento (e che, per me, non dovrebbero nemmeno andare al cinema a vedere questi film), a molti non è piaciuto che il film li “prendesse in giro”. A molti non è piaciuto questo “venire ingannati”, chiudendosi mentalmente quando una cosa presentata come fighissima, per quanto volutamente stereotipata, è stata trasformata sotto il loro naso in una buffa ma originalissima sharada. Forse occorrerebbe mantenere una mentalità aperta ed essere contenti quando questo cinema ci regala ancora delle sorprese, soprattutto se sono molto meno stupide di quanto appaiono all’inizio. Quella di voler giocare in questa maniera la figura del Mandarino può piacere o meno, ma è indubbiamente una delle scelte più coraggiose viste in casa Marvel fino ad oggi.

In maniera più leggera questa cosa può essere applicata anche al personaggio di Pepper, fatta credere morta per poi tornare in tempo per il salvataggio finale, ma in un modo perfettamente coerente con quanto visto fino a quel punto, creando un effetto sorpresa non da poco.

 

Per tutte queste ragioni, e direi che non sono poche, considero “Iron-man 3” non solo il film più riuscito della trilogia di Stark, ma uno dei film più convincenti dell’intero panorama cinematografico Marvel.

 

(Questa recensione è stata pubblicata in anteprima su Marvel Cosplay Italia. Link: http://www.marvelcosplayitalia.it/2016/04/29/iron-man-3-perche-si/)

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